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Gatto Silvestro è bianco e nero: il mio cenone virtussino

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E anche questo 2022 va in soffitta. Per la Virtus è stato un anno tra i più importanti della storia, perché il successo in Eurocup e la conseguente qualificazione all’Eurolega hanno rappresentato il salto di qualità definitivo, e più significativo, da quando – dopo la retrocessione del 2016 – Massimo Zanetti ha preso in mano le redini della società. Tagliare quel traguardo, era scritto nei programmi, avrebbe consegnato di nuovo a Bologna la “vecchia” Virtus, quella con le risorse, le ambizioni e i progetti per restare nell’élite della pallacanestro europea. Oggi, forse, nonostante la grande vittoria contro il Fenerbahce i tifosi sono più impegnati a chiedere un lungo o a leggere il bollettino dell’infermeria, ma la visione di lungo periodo avuta dal club sei anni fa è da replicare in vista dei prossimi sei, nei quali consolidare la Virtus in questa élite, passando certamente dai rinforzi sul mercato, ma inevitabilmente anche dalle infrastrutture (la nuova Segafredo Arena), dai successi italici (lo scudetto) e dalla politica, il fattore dominante dei prossimi mesi. A San Silvestro, e siccome Silvestro era bianconero, propongo quindi il gioco del menu: le portate di un cenone immaginario, per virtussini, in cui saziarsi con virtù – appunto – e un briciolo di razionalità in vista del nuovo anno.

Crudité per antipasto. In una recentissima intervista raccolta da Walter Fuochi su Repubblica, Ettore Messina ha detto cose condivisibili. Dopo aver lucidato l’argenteria (cit.), il coach e direttore di Milano ha attraversato una tematica determinante per il futuro delle squadre che giocano in Eurolega: gli infortuni. Sono tanti, troppi, pesanti, incidono sulla stagione in modo gravoso. Ma nemmeno si possono allargare ancora di più le mastodontiche rose, già attorno ai sedici/diciassette giocatori, da declinare poi nei differenti regolamenti per l’Italia e per l’Europa. Senza entrare nel ginepraio di queste normative interne – finalizzate a valorizzare i giocatori italiani ma nella pratica utili solo per aumentarne il costo dell’ingaggio, allungando la carriera a chiunque – c’è un tema di tenuta atletica: se non si possono, vivaddio, allargare i roster, bisogna diminuire le partite. Quelle dei club impegnati in Eurolega – in attesa di capire che futuro avrà l’Eurocup, all’interno dei nascituri (forse) rapporti tra Eca e Fiba – e quelle delle nazionali, a volte inutilmente invadenti e – come ha spiegato bene Messina – collocate in un periodo dell’anno infelice. Senza guardare in casa d’altri, stiamo sulla Virtus: l’allenatore, Sergio Scariolo, s’è aggregato dopo gli Europei, lasciando quindi al suo staff la conduzione della fase preparatoria della stagione, “già stanchi” (ri-cit.) sono arrivati gli atleti impegnati nel torneo continentale. Tutto questo perché gli Europei si giocavano in settembre. E’ chiaro che un diverso approccio agli investimenti di Giorgio Armani e Massimo Zanetti – per restare solo agli attuali due top team italiani – si renderà presto necessario. Ai mondiali di calcio in Qatar non ho indovinato una bolletta, ma sono pronto a scommettere che senza la via crucis di infortunati la Virtus e l’Olimpia avrebbero qualche vittoria in più in Eurolega. Chi accetta di fare il banco?

Ettore Messina e Sergio Scariolo, i due migliori coach italiani (Ciamillo)

Ettore Messina e Sergio Scariolo, i due migliori coach italiani (Ciamillo)

I veri spaghetti alla bolognese. Che sono col sugo di tonno, come ovviamente tutti sanno. Io ci metto anche dei capperi, piccolissimi, i più piccoli a disposizione, così evito il sale. Qual è il primo piatto di questo cenone? A mio parere è la politica. La Virtus ha un obiettivo: la licenza in Eurolega. Certo, è possibile guadagnarsi il posto ogni stagione raggiungendo i playoff, ma è evidente che un club con questa storia, queste disponibilità economiche, con un marchio mondiale come Segafredo, con una gestione manageriale solida, con un nuovo palasport in progettazione e un agglomerato di 7-10 mila tifosi da portare alle partite, non può pensare di grattare il biglietto vincente ogni anno, mentre altri giocano per diritto. Tralasciato il problema etico sull’esistenza delle licenze – che non mi va di trattare qui, è pur sempre un cenone di San Silvestro, si parla di molto ma non di tutto – è evidente che alla Virtus il posto in anticamera sta stretto. Non per il passato – per quanto, al di là del ruolo di socio fondatore di Euroleague nel 2000, l’anno in cui Milano si salvò dalla A2 sbagliando apposta due tiri liberi contro Imola, la Virtus è ancora l’ultima squadra italiana ad aver vinto il trofeo – ma per il presente. Questo presente si declina in due filoni: la crescita, enorme, compiuta dal club in termini di investimenti (non solo tecnici, anzi non tanto tecnici) in sé stesso e nelle sue strutture, e nell’invidia del missile, ovvero la licenza d’Eurolega, che qualche volta ha creato elettricità nella gestione dei momenti pubblici. Diciamolo una volta per tutte: la Virtus Segafredo non è nelle condizioni di temere nessuno, deve soltanto – come nella maggior parte del tempo ha fatto – dedicarsi a lavorare per crescere, migliorare, avanzare nella costruzione di un grande club internazionale ancora più forte di quanto già è. L’area urbana di Bologna non è una capitale ma a livello europeo è un asset, lo dicono i dati (qualità della vita e produzione) del Sole 24Ore, e questo, sommato al marchio industriale Segafredo-Zanetti, è un atout significativo. La questione della licenza, però, andrà presto affrontata. La sensazione generale che il nostro basket non sia più quello di un tempo, e per vari motivi (nei quali non mi addentrerò, vedi la questione etica sul diritto sportivo) valga meno del campionato spagnolo, tedesco o turco, non basta a motivare la presenza di una sola licenza pluriennale all’Italia. Ma l’Italia, intesa come sistema, ha voglia di avere una seconda squadra in Eurolega? Fossimo ai tempi di Gigi Porelli, questa domanda avrebbe una risposta certa. I chiari di luna di questi mesi, invece, invitano alla prudenza. Sbaglierò, ma credo che un ingresso della Virtus nel novero dei club che giocano “per diritto” passi anche – più o meno esplicitamente – dal consenso di Milano, e quindi sarà anche l’abilità politica bianconera a essere testata quando, se succederà, l’Eurolega metterà a disposizione nuove licenze (vuoi per uscita di scena di alcuni club o per allargamento del torneo). Bisognerà quindi essere in grado di avere costruito un fronte favorevole, se l’Olimpia, per non rinforzare un avversario diretto e interno, remasse contro. E se invece remasse a favore, davvero tanti sinceri complimenti: perché purtroppo nello sport italico, di questi tempi, sarebbe un fatto clamoroso. L’Eurolega di Dejan Bodiroga e Marshall Glickman sarà comunque diversa dall’Eurolega di Jordi Bertomeu, che era finita sotto accusa per strizzare l’occhio alla Spagna e aveva deluso qualche club per una remunerazione economica al di sotto delle aspettative. Alle polisportive (Madrid, Barcellona, Bayern, le greche, le turche) interessa meno, la sezione basket cuba economicamente poco rispetto a quella calcistica, è un amuse-bouche per stare in tema culinario. Ma per le altre, un torneo capace di generare maggiori introiti è fondamentale. Diventerà quindi una “Superlega”, ovvero un torneo dove si guadagna anche? Un passaggio, credo, fondamentale, sarà quello di scegliere chi vi prenderà parte, immaginando anche di allargare a mercati ricchi e finora marginali (per esempio Londra, si veda l’ingresso in Eurocup). La Virtus non può restare fuori da quel treno in partenza, entro l’estate del 2026, dalla stazione europea. Dirò di più: credo che sarebbe prezioso un asse Milano-Bologna per disegnare l’Eurolega di domani secondo criteri di sostenibilità e prospettive di introiti. Un modo auspicabile per torcere quella che oggi è una rivalità storica, ma sterile, in un’alleanza, a vantaggio della pallacanestro italiana e di loro stesse, ovviamente, che possono proporre tradizione, risorse economiche, competenze manageriali e pubblico. Il ceo Glickman, americano di Portland, una vita nel business sportivo, ha già chiarito: “Abbiamo richieste di entrare da dieci mercati differenti, credo che l’allargamento sia inevitabile. Non potrà però dilatarsi il calendario, c’è il problema delle finestre Fiba. Non vedo formule magiche ma credo che dovremo avere delle conference se aggiungeremo delle squadre”.

Milos Teodosic impegnato contro l'Efes Istanbul in Eurolega (Ciamillo)

Milos Teodosic impegnato contro l’Efes Istanbul in Eurolega (Ciamillo)

Per secondo una bella frittura di alici. Siccome mi ripugna il capitone e con lui anche il guazzetto con i cardi, io propongo una rigenerante frittura di alici, un evergreen, buona sempre, figurarsi a San Silvestro. A parlare di licenze e politica viene fame (a proposito, attualmente i club di Eurolega sono così suddivisi: Barcellona, Baskonia, Real Madrid, Olympiacos, Panathinaikos, Efes, Fenerbahce, Bayern, Asvel, Zalgiris, Maccabi, Milano hanno licenza pluriennale, a cui va aggiunto il Cska sospeso, più c’è l’Alba Berlino con licenza che scade nell’estate 2023, ma è un mercato che difficilmente verrà lasciato andare), ma classifica alla mano la Virtus e Milano si giocheranno solo il tanto caro e vecchio scudetto. Difficile, per come s’è messa, che possano ambire a traguardi europei. Certo, la Segafredo raggiungendo i playoff in Eurolega si garantirebbe la partecipazione anche l’anno prossimo, ma come s’è detto prima, pulendosi la bocca dal sugo, le strade per stare dentro sono molteplici. Lo scudetto, invece, è uno. Da quando la sfida bianconera all’Olimpia è stata lanciata, i due club si sono spartiti i trofei. E il tricolore l’ha vinto la Segafredo quando favorita era l’Armani, e l’ha vinto l’Armani quando favorita era la Segafredo. Uno a uno, palla al centro, e c’è da credere che la probabile ennesima finale scudetto Bologna-Milano stavolta sia la più equilibrata della serie. L’importante sarà non entrare nel mood dello “scudetto per salvare la stagione”: finché Virtus e Olimpia continueranno a giocare anche il campionato italiano (ops…), il tricolore vale più di ogni altro successo.

Achille Polonara con la maglia della Nazionale italiana

Achille Polonara con la maglia della Nazionale italiana

Si può avere un dolcino? Dopo i crudi, una ricca spaghettata e la frittura, credete che mi sia dimenticato di Achille Polonara? No, ovviamente. Non si parla d’altro. Per quanto, detto aspettando di mangiare il mio rombo di torta di riso, continuo a non capire il senso di questo acquisto chiesto spasmodicamente vox populi. E’ noto che il reparto italiani, per le regole di cui si accennava sopra, è corto nella lista dei lunghi: e questo è noto fin da quando, sempre per vox populi, anni fa si rinunciò a Simone Fontecchio, infilandosi in questo cul-de-sac. Ma francamente, è davvero necessario farsi spennare oggi per Polonara, sapendo che in ogni caso i titolari saranno altri? Dunque se Polonara venisse a Bologna a certe condizioni economiche, sarebbe da prendere: allunga e migliora il gruppo, in ottica futura (Marco Belinelli e Nico Mannion, in scadenza di contratto, saranno ancora della compagnia? Intanto contro il Fenerbahce hanno vissuto una serata magica) rimpolpa la dose di italiani, l’investimento sarebbe qualitativo e anche in equilibrio con gli stipendi del roster. E questi sono i motivi per cui Sergio Scariolo lo accoglierebbe volentieri. Ma se si tratta di pagargli oltre un milione di euro, e poi umiliarlo, come gli è successo a Istanbul, credo che firmarlo sarebbe una boiata. Quindi: Polonara sì, ma non a ogni costo. Quest’estate, quando la Virtus al tavolo dei rilanci non si sedette nemmeno, sbagliarono in due: Polonara a correre da Ergin Ataman per appuntarsi la spilletta di “quattro titolare del club campione d’Europa” e Ataman a dargli tutti quei soldi. Dirlo oggi però è facile. Adesso Polonara è ricco, è in uscita da un grandissimo club, ma in una posizione scomoda: l’Efes non lo vuole più e lui deve scegliere la soluzione migliore per sé. L’onore o la guerra, il “progetto” o i quattrini. Forse può trovare entrambi, ma non in Italia. Alla Virtus, in questo momento, ci sono già due quattro migliori di lui. E come già la scorsa estate, le priorità sono altre: un centro atletico – dando per acquisito che Mam Jaiteh abbia raggiunto il suo tetto di crescita a questo livello – e la partita sul contratto di Milos Teodosic, che sarà “vecchio”, ogni tanto avrà i suoi minuti di “sclero”, tutto quello che volete, ma è ancora – nel roster attuale – il giocatore che fa suonare l’orchestra. Bisognerà rifletterci e parlarci.

Il caffè (Segafredo, ça va sans dire…). Mentre ci si prepara alla tombola, c’è quell’attimo di pace in cui allentare la cintura e rilassarsi. E viene da sé, sapendo che tutto questo pippone è nelle mani di Sergio Scariolo e Paolo Ronci, i delegati da Luca Baraldi e Massimo Zanetti a guidare la nave. Fiducia ben riposta.

twitter @DLabanti


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